sabato 26 marzo 2011

These wounds won't seem to heal, this pain is just too real

http://www.youtube.com/watch?v=h3nWd6Kx6l0&feature=related

I'm so tired of being here, suppressed by all my childish fears And if you have to leave, I wish that you would just leave Your presence still lingers here and it won't leave me alone

These wounds won't seem to heal, this pain is just too real There's just too much that time cannot erase

When you cried, I'd wipe away all of your tears When you'd scream, I'd fight away all of your fears And I held your hand through all of these years But you still have all of me

You used to captivate me by your resonating light Now, I'm bound by the life you left behind
Your face it haunts my once pleasant dreams Your voice it chased away all the sanity in me

These wounds won't seem to heal, this pain is just too real There's just too much that time cannot erase

When you cried, I'd wipe away all of your tears When you'd scream, I'd fight away all of your fears And I held your hand through all of these years But you still have all of me...

I've tried so hard to tell myself that you're gone..But though you're still with me, I've been alone all along...
When you cried, I'd wipe away all of your tears When you'd scream, I'd fight away all of your fears And I held your hand through all of these years but you still have all of me, me, me

“Non occorre che tu esca di casa. Resta al tuo tavolo e ascolta” (F. Kafka)


 … io non ascoltavo, ero altrove, e seguivo le vie del mio pensiero. Chiuso nella mia stanza ero chiuso in me stesso. E vivevo.

Un giorno, diverso tempo fa, ho riflettuto su una questione: il tempo è materiale? Difficile risposta…Ne percepiamo lo scorrere, ma è qualcosa di astratto o di concreto? Einstein diceva che l’energia nasce da una massa moltiplicata per una velocità… E=mc*2… La velocità della luce se la massa diventasse zero sarebbe nulla, anche il tempo quindi…Può esistere tempo senza massa?? No! Dunque esso è materia! E se noi siamo materia, siamo anche tempo: ed ecco che le più strane idee che vagavano dentro di me si sono presentate alla mia coscienza… Pensieri che mi attanagliavano la mente da anni: la convinzione di essere parte del mondo, di essere un aggregato di atomi, la consapevolezza di reggermi su delicati equilibri chimici che governano e dirigono l’orchestra del nostro corpo e della nostra emotività…

“la morte del singolo è la benefica condizione che permette la continuazione della vita in altri individui nuovi per altro progetto e per nuova selezione. E’ il modo per cui si consente alla specie nuova flessibilità”
Siamo composti dalle stesse particelle che una volta abbandonato un corpo, si ridistribuiscono in altri…Spesso capita  di incontrare persone che sembra di conoscere da sempre: forse un’elevata percentuale delle nostre molecole in passato ha vissuto in uno stesso corpo… L’empatia nasce tra coloro che un tempo facevano parte di un medesimo essere vivente…
Tutti noi, esseri viventi, partecipiamo di una proprietà comune, cui facciamo riferimento quando parliamo di materia vivente[…]L’immortalità della vita appare immediatamente quando si consideri come si riproducono gli esseri unicellulari che, dividendosi per mitosi, originano nuovi individui disperdendo in questi tutta la forma ed il progetto di cui sono costituiti. […]Capacità creativa della negazione!”

Ritorno ai tempi dei neoplatonici, dove Plotino sulla scia di Parmenide e Platone dichiarava come L'Uno fosse la prima e unica realtà sussistente: prima di tutto ciò che esiste. Assegnare ragioni all'Uno è peraltro impossibile, è la fonte di ogni ragione: la necessità del donare fa parte della sua natura, ma non perché ne abbia bisogno. L'Uno genera in maniera assolutamente disinteressata e involontaria gli stadi a sé inferiori. Questi stadi non sono temporalmente isolati, ma si susseguono lungo un processo costante, in un ordine eterno…
Visione suggestiva, mistica, forse un po’ sorpassata: però di fatto queste riflessioni mi portano a convincermi sempre più che non solo siamo parte del mondo, ma anche di tutto l’universo, e quindi siamo una parte dell’infinito. Di conseguenza per far parte di un infinito, è infinito ognuno di noi…E legami che si creano tra gli individui sebbene istintivi si rivelano spesso in tutta la loro complessità, potrebbero quindi essere incompleti: un infinito non può penetrare un altro infinito, né fisicamente nè psicologicamente (mi ricordo Zenone di Elea e il paradosso di Achille e la tartaruga…). Eppure questi avvengono, li avvertiamo, li viviamo, poiche riconosciamo che qualcosa nei lunghi processi evolutivi ci ha accomunati. Peraltro è il mantenimento di uno stato di ordine estremamente improbabile.
Gran parte delle mie scelte non erano mai state casuali, ma sempre indirizzate verso qualcosa di familiare. Le amicizie che spesso mi sono sembrate spontanee, in realtà forse non lo sono mai state poi così tanto. Siamo parti di infinito, che cercano in questo marmasma di particelle qualcosa che un tempo è appartenuto ad entrambi.
Questa realtà non era mai stata presente a me stessa così intensamente, come invece è stato da quel giorno in laboratorio, e dalle successive letture di grandi Maestri della scienza.

“Se un uomo salisse in cielo e contemplasse la natura dell'universo e la bellezza degli astri, la meraviglia di tale visione non gli darebbe la gioia più intensa, come dovrebbe, ma quasi un dispiacere, perché non avrebbe nessuno a cui comunicarla". Così la natura non ama affatto l'isolamento e cerca sempre di appoggiarsi, per così dire, a un sostegno, che è tanto più dolce quanto più è caro l’amico” CICERONE, De amicitia

Sicuramente l’isolamento non è insito nella nostra natura: per quanto individualisti ci ostiniamo ad essere, dipendiamo necessariamente dalla presenza degli altri, e non solo per la condivisione dello splendore di questo mondo. E fra migliaia di persone riusciamo sempre a trovare chi, nel bene o nel male, si trova sulla nostra stessa lunghezza d’onda.

“Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi…Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano".
A. de SAINT EXUPERY, Il piccolo principe, 1943

Ed anche in questo semplice testo si trovano le dinamiche piu profonde dell’amicizia: il legame nasce ed è perpetuo, presente in ogni circostanza della vita…indistruttibile, indelebile. L’amicizia e l’amore sono moltiplicatori, non vengono suddivisi tra le persone degne di riceverne….Rende quella persona diversa e piena di piccole cose che in apparenza sembrano appartenere solamente a lei.

Tempo, materia, spazi, distanze…Non ci interessano: il pensiero ci porta oltre e il legame con le persone che possiedono qualcosa che un tempo fu in un corpo comune non può fermarsi: si è sempre essere vicini, e ci si segue costantemente nel percorso della vita, nonostante ci si veda fisicamente molto poco. È questa l’essenza più profonda dell’amicizia, dell’amore e se meglio vogliamo intenderci: delle relazioni interpersonali più vere.
Da un piccolo dibattito, dalla lettura di qualche brano, e dalla mia esperienza personale ho voluto percorrere questo ragionamento. Molto flessibile ovviamente; e tutto sommato non è nemmeno così contrastante con il mio solito cinismo, che poi di fatto potrebbe essere un meccanismo di difesa…
Tutto questo per dire che certe relazioni sono indistruttibili e indissolubili…Nel bene, o nel male si è perpetuamente legati, e fondamentalmente il distacco non esiste. Se questo è positivo o negativo non so dirlo: certo è che, anche in condizioni di abbandono più assoluto, pur solamente per il fatto di vivere non ci si può definire soli.

Eppure mi sento molto sola e molto abbandonata. Questi pochi appigli, psicologici mi rimangono… non mi fiderò mai piu di nessuno….

Federica Liberati

Ciò che è razionale è reale...

Diceva Kant che l'azione morale vale, per se stessa, di essere compiuta. Io aggiungerei che la sensazione di felicità che deriva dalla consapevolezza di aver compiuto un'azione morale, diventa una specie di farmaco dell'anima dal quale, rapidamente, si diventa dipendenti: io rispondo che se consideriamo i postulati Kantiani nella "Critica della ragion Pratica", circa gli imperativi categorici, le massime e le sue conclusioni sull'agire morale, il discorso è coerente...
Però l'esempio della dipendenza al farmaco, mi fa pensare  ad un egoismo mascherato da altruismo...E quindi resto sempre convinta che non esista un agire morale incondizionato, che faccia appello ad una legge morale assoluta.

Tutto questo senza considerare ovviamente le critiche successive a Kant, partendo da Hegel…

“Nel mondo nulla di grande è stato fatto senza passione… L'uomo non è altro che la serie delle sue azioni.”

Chi era Hegel? Un romantico, che si contrappose a Kant ovviamente, e non l’ho citato a caso in quell’occasione…
“E tuttavia qui nella coscienza per la prima volta compare una nuova dimensione dell'essere (compare o nasce?): è la bellezza, la sensazione che la vita è bella, la consapevolezza che insieme è possibile godere della luna e delle stelle”
Quando egli parla di “spirito del mondo” si riferisce alla somma di tutte le espressioni umane, poiché soltanto l’essere umano è dotato di spirito. Partendo da questa accezione egli può parlare del corso dello spirito del mondo attraverso la storia. Kant parlava della “cosa in sé” postulando tuttavia l’esistenza di una verità irraggiungibile. Hegel invece sosteneva che la verità è soggettiva, e che tutta la conoscenza è conoscenza umana: egli insegna a pensare in modo fecondo. Riteneva che ciò che rappresenta il fondamento del sapere umano muta di generazione in generazione e per questo non esistono verità eterne, né una ragione atemporale.
“anche un fiume cambia continuamente, ma ciò non significa che tu non possa parlare del fiume. Tuttavia non puoi chiederti in quale punto della vallata tale fiume sia più autentico”
Anche il pensiero della storia è paragonabile al corso di un fiume, non è dato sostenere che un tale pensiero valga in eterno, anche se può essere giusto nel contesto in cui ci troviamo in un determinato istante…
La ragione è qualcosa di dinamico, è un processo, e la verità è questo stesso processo: tesi, antitesi e sintesi. Quando ci troviamo coinvolti in una discussione non è sempre facile decidere che cosa sia più ragionevole… “ciò che è razionale, è reale”…pertanto, ciò che è giusto continua ad esistere. La tensione tra essere e non essere viene risolta nel concetto di divenire…parliamo dunque di una ragione dinamica…la realtà è contraddittoria, e la sua descrizione non può che essere tale.
«vero è l'intero. Ma l'intiero è soltanto l'essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell'Assoluto si deve dire che esso è essenzialmente Resultato, che solo alla fine è ciò che è in verità».
Per Hegel non è possibile ritirarsi dalla società in cui si vive, e pertanto non è l’individuo a trovare se stesso ma lo spirito che ritorna a se stesso, diventando consapevole di sé nello spirito assoluto (arte, filosofia…). La filosofia è la scienza più alta perché in essa lo spirito riflette sulla propria attività nella storia, soltanto nella filosofia lo spirito incontra se stesso: possiamo definirla come lo specchio dell’anima.
“noi non possiamo essere ironici. Siamo soltanto vittime indifese di un’ironia di questo tipo. Se un bambino disegna qualcosa su un foglio, non puoi chiedere al foglio di spiegarti che cosa voglia rappresentare il disegno”


Pertanto, non credo che esista una filosofia o una verità assoluta: quando parlavamo dell’agire morale, del dono disinteressato, mi sono permessa di dubitarne l’esistenza. Ma posso correggermi alla luce di questo: non esiste in maniera assoluta, ma in certe e rare circostanze può esistere. Dubito che siano frequenti. « Questa coscienza infelice scissa entro se stessa è così costituita che, essendo tale contraddizione della sua essenza una coscienza, la sua prima coscienza deve sempre avere insieme anche l'altra. In tal modo, mentre essa ritiene di aver conseguito la vittoria e la quiete dell'unità, deve immediatamente venire cacciata da ciascuna delle due coscienze. »
( Fenomenologia dello spirito, cit. vol.I, p.174 )

una particolare spetttatrice

Non ho mai capito niente di sport.
Tantomeno di pallavolo. "Non sai giocare" mi hanno sempre detto. Ed è ciò che ormai penso anche io.
Eppure da piccola mi piaceva questo sport: io gioco in una squadra fortissima e vinciamo sempre, era questo ciò che raccontavo ai miei coetanei, con quell’aria strafottente tipica dei bambini bugiardi.
Ma le mie maldestre schiacciate mi smentirono clamorosamente, facendomi abbandonare anche la speranza.
Adesso che sono al Liceo questo sport è tornato a perseguitarmi: allenamenti e volley scuola sono sempre all’ordine del giorno.
Dicono che sia un’occasione d’incontro in cui si vince e si impara a perdere…Io credo di aver già perso la mia partita anni fa. Ma quel piccolo sogno irrealizzato non è sparito come credevo: è proprio esso che, dal suo nascondiglio, mi spinge a guardare le partite dallo spogliatoio, ad assistere agli allenamenti con la scusa di aspettare i miei compagni …
Quanto entusiasmo, quanta passione! E’ questo il vero sport: le partite fra studenti dove non vi è altro che la voglia di divertirsi, dove si gioca per il piacere di giocare, senza interessi, proprio come in quel cartone animato che un tempo mi faceva tanto sognare.
E nonostante i miei mille interessi, sento che tutto ciò un po’ mi manca. Il pallone si riflette nei loro occhi grazie ad una luce che nessuno vedrà mai brillare nei miei…In realtà anche i miei brillano se ci penso, ma di una luce diversa. Forse perché non ho imparato a perdere. Forse…

Federica Liberati
Anno scolastico 2004-2005

merito del Volley scuola?

"Sono strani questi terrestri..." Così la pensa mio padre da quando ha deciso di trasferirsi sulla Terra per studiarli, costringendo anche me ad abbandonare, a malincuore, il nostro pianeta.
Una nuova scuola, lontana anni luce da quella che tanto amavo, proprio non volevo accettarla. E neanche i miei compagni sembravano gradire la mia presenza, talvolta fastidiosa, talvolta imbarazzante, viste le mie sembianze alquanto diverse dalle loro.
Mi aggiravo per i corridoi in solitudine, con gli occhi di tutti puntati addosso; la sera guardavo in cielo cercando tra le stelle la mia vecchia casa: ma non vedevo altro che una piccola sfera fra tante nell´universo... una sfera proprio come quella di gomma che i miei nuovi compagni di scuola amavano tanto lanciarsi a vicenda, secondo le regole di uno strano gioco che chiamavano pallavolo.
Fu questa somiglianza che un giorno, tra gli schiamazzi e gli scherni di tutti, mi spinse a sostituire un giocatore assente.
Non so perché, ma c´era qualcosa nei miei bagher, nelle mie schiacciate, nelle mie battute
che mi permise di diventare titolare della squadra e che, piano piano, annullò le mie diversità agli occhi dei terrestri. In realtà niente in me era cambiato, eppure il volley scuola mi aveva fatto accettare dagli altri ragazzi, mi aveva permesso di condividere con loro tante emozioni, mi faceva avvertire di meno la nostalgia del mio pianeta.
Ha ragione mio padre, sono proprio strani questi terrestri... forse perché hanno così tanta paura delle diversità... forse perché gli basta così poco per dimenticarsene.

Federica Liberati
Anno scolastico: 2005-2006

l'altezza della rete

Fratello e sorella.
Mi ricordo giornate afose, estati torride, voglia di scappare … Mi ricordo che passavano i pomeriggi con un pallone, sulla sabbia rovente, a palleggiare … Lui spesso piangeva, la rete era troppo alta e lei non la abbassava. I bambini sanno essere crudeli: lei si approfittava di essere la sorella maggiore, ma lui sapeva che un giorno sarebbe cresciuto e l’avrebbe battuta. Quanto litigavano! Mi ricordo che guardavano lo stesso cartone animato, circondati di merendine, palloni e speranze … A tutti e due piaceva la pallavolo, e in quel momento non litigavano. Mi ricordo …
Fratello e sorella. Stessa scuola. Lui è vivace, forte, potente: le sue schiacciate non falliscono mai, la finale del "Volley scuola" è vicina e la squadra conta su di lui…Ormai non ha più paura dell’altezza della rete: quando palleggia con la sorella, nelle ore di buco, la alza più che può e lei si arrabbia …
Adesso è lui ad approfittarsene, ma lei non ha speranze, sa che non crescerà più. Eppure ogni volta litigano come un tempo.
Ho scoperto che in TV ancora trasmettono quel cartone animato. Stesse merendine, stessi palloni e stesse speranze…Già, ma loro non possono più guardarlo insieme. A volte i genitori che divorziano separano anche i figli: case diverse, vite diverse, televisioni diverse e anche merendine diverse.
Per non parlare dei palloni. Vivono esperienze differenti, adolescenze lontane, ma le speranze sono le stesse, e anche i ricordi. Forse in futuro qualcosa li riunirà… Forse si metteranno d’accordo per l’altezza della rete, e giocheranno partite senza litigare, alle quali parteciperanno anche i genitori. Chi vincerà? Nessuno… Non ci saranno vincitori, ma solo vinti…

Federica Liberati
Anno scolastico 2006-2007

Una partita contro… la scuola! E non solo…

Pochi mesi agli esami di maturità: da me si esige la perfezione. Il pallone continua a rimbalzare sotto ai miei occhi, un rumore costante scandisce il tempo che inesorabilmente passa, come un orologio, io sono costretta a crescere ed è inutile lottare: continuare a correre non ha senso, è una battaglia persa.
E la pallavolo?
Già, la pallavolo… io il pallone non l’ho mai toccato se non per sbaglio: le ore di educazione fisica le ho passate a guardare le partite dei miei compagni di classe, attendendo il suono della campanella per poi rifugiarmi ansiosamente in classe in vista di chissà quale interrogazione. Il rumore della palla scandisce il mio tempo ormai da anni, come un metronomo.
Anche quando corro i miei passi mi ricordano che il tempo trascorre: segno che devo andare più veloce, per raggiungere il traguardo al più presto, per non deludere le aspettative, è una lotta continua tra me e i minuti.
Seduta in panchina mi sono sempre resa conto che ogni set, ogni punto, ogni schiacciata non facevano altro che sottolineare che stavo crescendo, che sarebbe stato sempre più tardi per imparare a giocare a pallavolo.
E ora è troppo tardi: una schiacciatrice disastrosa, la disperazione della professoressa… si, questa sono proprio io.
La scuola mi ha insegnato a correre, ma non a giocare.
Le partite del volley scuola sono sempre state un’occasione per ripassare la lezione dell’ora successiva, per non fermare la mia corsa, per convincermi a non sentire la fatica, per soddisfare le aspettative su di me.
Ma a questo torneo si appassionano anche gli insegnanti, è tardi per imparare ma non per divertirsi; il tempo non lo potrò fermare, ma potrò rompere le lancette dell’orologio del mio cuore e smettere di rincorrere obiettivi ignoti.
La società, la scuola, l’agonismo non pretendono da noi altro che la perfezione: per il dolore e per le emozioni non c’è più spazio.
Ma lo sport è anche un gioco, come dovrebbe esserlo la vita, e non può sempre chiedere atleti ma stimolare la fantasia: allora forse questo torneo di pallavolo, unendo scuole e squadre di quartieri diversi, vuole fermare la nostra corsa e farci tornare spensierati come bambini per ribellarci ad un mondo che chiede solo eccellenze, annullando completamente le nostre personalità.

Federica Liberati
Anno scolastico 2007-2008

"L’anima e il continuo divenire della realtà"

Prima prova- esame di stato
Il mondo: una realtà in continuo divenire, dove ogni istante, ogni emozione non è che sfuggente. L’esistenza dell’uomo appare in tutta la sua leggerezza su uno sfondo altrettanto effimero; priva di senso e instabile la sua anima segue il flusso della corrente, in accordo con quanto diceva nell’antica Grecia il buon Eraclito: "panta rei", tutto scorre e non vi sono certezze.
Un’anima inquieta e capricciosa accompagna ogni individuo durante il percorso insensato della vita: una serie di attimi e di sensazioni che svaniscono nel tempo travolte dall’incessante divenire dell’essere.
"Ciò che avviene una volta soltanto è come se non fosse mai avvenuto" (Milan Kundera).
Questa consapevolezza ha spinto l’uomo a collocare puntualmente la sua anima in qualche luogo: un tentativo di arrestare quel flusso, di fissarsi in qualche forma per dare un senso alle proprie emozioni e far sì che non spariscano per sempre.
"La felicità è desiderio di ripetizione" (Kundera) proprio per questo motivo è difficile accettare che anche i sentimenti più belli non sono che transitori. Secondo questo ragionamento l’uomo è destinato ad essere eternamente infelice… ma è realmente così?
Ciò che è accaduto è per sempre perduto?
Nella tradizione artistica e letteraria si è spesso assistito a richiami continui ai luoghi dell’infanzia: un tentativo di ripetere uno dei momenti più sereni e rassicuranti dell’esistenza, ma anche il più irrecuperabile.
Marc Chagall ne "il violinista sul tetto" pone sullo sfondo Vitebsk, la sua città natale, che rappresenta il luogo dell’anima a cui fece riferimento in tutta la sua opera; non avendo accettato che il passato è irrecuperabile il ricordo di tale epoca fu lo spettro, ma anche il rifugio, di tutta la sua esperienza di vita.
Solo la memoria può affrontare il continuo fluire del reale. "Sempre un villaggio, sempre una campagna mi ride al cuore… sempre mi torna al cuore il mio paese" (Pascoli, "Myricae")
Affidando la propria anima al luogo dell’infanzia affettivamente più importante , è possibile vivere facendovi riferimento continuamente, come Pascoli che portò sempre con sé quel fanciullino che vive in ognuno di noi e che consente di condurre una vita autentica.
L’uomo perciò nel corso della storia ha compreso che nonostante la leggerezza e mutevolezza del reale, la propria anima è in grado di imporsi con tutta la sua "pesantezza".
E se Parmenide diceva che "ciò che è leggero è positivo e ciò che è pesante è negativo" è facile capire che solo ciò che è pesante ha una vera importanza.
L’anima per salvarsi si impadronisce del mondo, lo cattura, e grazie al ricordo ogni individuo può ostacolare, anche se non concretamente, quel flusso caotico.
"Ma sedendo e mirando interminati spazi al di là di quella […] Io nel pensiero mi fingo, ove per poco il cor non si spaura".
L’anima di Leopardi, esaltatore della rimembranza, va oltre: non più la Verona di Romeo in Shakespeare, o i monti sorgenti della candida Lucia di Manzoni.
Egli si colloca nell’universo, poiché intuendone l’immensità, il suo spirito trova quiete solo nell’infinito. "Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mar".
Ognuno di questi artisti, avendo impresso la propria anima in una porzione di mondo, e viceversa, ha lasciato un segno indelebile nella storia oltrepassando anche l’ostacolo della morte.
"Tutti, tutti dormono sulla collina" (dalla "antologia di Spoon river") ma nonostante non vi sia rimedio alla morte, Foscolo ci ricorda che di fronte ad un sepolcro, tramite il ricordo si può incontrare l’anima del defunto, riportandolo in vita.
Un altro rifugio, un’ennesima fuga.
Tutto è insensato, la realtà è transitoria, mutevole, effimera…
Ma ciò non può essere fonte di sofferenza: l’anima è l’unica entità solida, capace di dare un senso, di giustificare se non il mondo, perlomeno se stessa.
Di fronte al divenire scappa impaurita nascondendosi in qualche rifugio: è questo l’unico luogo sicuro che possa proteggerla, darle una forma e custodire i suoi tremiti, le sue emozioni altrimenti in balia di una corrente indomabile.
Probabilmente la realtà è sofferenza: ma sarà la nostra anima a lenire tali ferite e a consolare continuamente coloro che, vittime del mondo, pensano di aver perso le forze per affrontare la vita.
Federica Liberati

Tipologia B- traccia: "i luoghi dell’anima"